La riesumazione sarebbe durata poco, un’ora al massimo. Lyla scese dalla sua Mercedes nera e s’accese una sigaretta nell’attesa che arrivassero gli altri. Si sentiva nervosa. “Sono passati quindici anni da quando me ne sono andata e ho detto addio a Robert. Non pensavo che l’avrei rivisto in quest’occasione. Era il mio migliore amico, ricordo. È stato il mio compagno di giochi all’asilo, poi la mia prima cotta alle medie, finchè all’età del liceo non mi trasferii a 400 km di distanza e lo dimenticai. Lo dimenticai anche quando lui ed un suo amico mezzo ubriaco e fatto caddero di sotto dal ponte con l’auto. Robert avrebbe preferito restare nell’abbraccio del fiume Rosa, lo so, perché si chiamava come sua madre. Anch’io l’avrei voluto, se fosse spettato a me decidere, ma i suoi genitori adottivi non sapevano o non capivano. Ormai loro sono morti, in un incidente, mi pare. L’unica vivente sono io, ricca, elegante, con il mio studio da avvocato di lusso e la mia Mercedes e potevo dimenticarmi di lui per sempre se un nostro vecchio compagno di classe non avesse telefonato per avvertirmi dell’esumazione. Chissà che alla fine non posso finalmente fare qualcosa per lui…. Per te, Robert, un’ultima cosa, forse?”. La sigaretta finì; Lyla entrò nel cimitero e si diresse verso gli operai che stavano già scavando nella tomba. Il posto era visibilmente vecchio, con fiori di plastica sbiaditi e lapidi sciupate dalla pioggia…. “Il cimitero delle anime dimenticate” pensò distrattamente Lyla mentre i necrofori le facevano ala quasi avessero timore di sciupare quell’apparizione così raffinata e piena di vita tanto fuori luogo nel vecchio cimitero provinciale.– Possiamo iniziare signorina…? –– Pashman. Sono un’amica del defunto. Credo che debbano arrivare altre persone, almeno quella che si occupa dei resti. –L’operaio s’asciugò la fronte con aria perplessa.– Nessuno ha richiesto questi resti, signorina. –La risposta la colpì come una secchio d’acqua gelata. Nessuno aveva intenzione di occuparsi di Robert, non una zia, né un cugino, nemmeno il tipo che le aveva telefonato. “Anche se nessuno vuol farsene carico, qualcun altro dovrà pur arrivare. È sempre stato un ragazzo popolare, aveva così tanti amici…nel frattempo, posso fare l’ultima cosa per lui… forse molto più di quanto pensassi.”.– Molto bene, me ne occuperò io, ma avrò bisogno di portare via le ossa. Non possono mica restare qui, è un posto troppo… fuori mano, ecco. Non ci sono problemi, vero? – disse sfoderando il suo tono da avvocato della difesa.– Ma, signorina Pashman, dovremmo prendere le ossa in consegna, accordarci tramite l’ufficio con il nuovo cimitero, ci sono i documenti da firmare…! – balbettò l’uomo.– Suvvia, sono un avvocato, so come funzionano queste cose. Le voglio solo risparmiare un po’ di lavoro burocratico, ecco tutto; senza contare che l’ossario comune sarà già così pieno che non si risentirà per un ospite in meno, non trova? – nel frattempo mise mano al portafoglio con l’intenzione di trarne il proprio biglietto da visita fingendo di essere seccata, ma il necroforo s’affrettò fermarla.– Oh no, non si disturbi signorina, ha già fatto tanto!! –Lyla sorrise soddisfatta. Decise comunque di aspettare ancora un po’ l’arrivo di qualcuno; s’accese una Benson, poi un’altra, sempre più nervosa. Dopo tre quarti d’ora si rassegnò, non sarebbe arrivato nessuno. Fece cenno ai necrofori di cominciare, un medico scese nella tomba vestito in tuta di plastica e guanti di gomma e scoperchiò la bara. Estrasse per prima cosa la mascella, poi il cranio, le vertebre e la cassa toracica, il bacino rotto in due pezzi, le braccia e le ossa delle mani, i femori, le rotule, i calzini bianchi che contenevano tutte le ossa dei piedi, gettandole con gesti meccanici in una cassettina d’acciaio. Lyla trasaliva ad ogni irrispettoso tonfo metallico, ma restava in silenzio limitandosi ad osservare con le braccia conserte le ossa sporche di terra che riempivano gradualmente la cassettina di metallo. Sentiva pietà e tenerezza per quei miseri resti indifesi ed ignari del loro destino. “Le persone rifuggono le cose brutte” pensò malinconicamente “non gli si avvicinano mai e rifiutano di conoscerle, continuando così a temerle per tutta la vita. Cercano di ignorarle pensando che in questo modo esse smettano di esistere lasciando il posto solo a cose belle, forse credono di divenire belle anche loro. E abbandonano gli amici.”. Al termine della riesumazione i necrofori gettarono i vestiti e i pezzi di legno marcio della bara in un grande sacco di plastica bianca, richiusero la cassettina e la consegnarono a Lyla che insisté per elargire agli operai una buona somma di denaro. Poi uscì da cimitero portando con reverenza la cassetta tra le braccia. La sistemò in auto, sul sedile posteriore.– Penso che il sedile anteriore non ti piaccia un granché. Stai dietro, ti dispiace? – disse sistemandola con la cintura di sicurezza perché non si rovesciasse. Entrò in macchina, mise in moto il motore ed uscì dal parcheggio. Osservò il percorso da fare sul GPS e sorrise: sarebbero passati su quel fatidico ponte, sul fiume Rosa e lei aveva appena avuto un’idea. “Ora so cosa fare per te.”. Guidò fino al fiume, parcheggiò in un sentiero laterale e s’incamminò lungo la riva con la cassetta tra le braccia, finché non giunse dove il fiume faceva una curva e gli alberi coprivano il ponte alla vista. Trovò il canneto dove andavano a giocare da piccoli nei pomeriggi estivi e il vecchio salice dal tronco sinuoso; gli si avvicinò e ne accarezzò la corteccia. Si sedette ai suoi piedi in uno spiazzo tra le radici e chiuse gli occhi.– Dicevi che l’odore di questo albero ti ricordava tua madre. Era molto buona ed io l’ho sempre immaginata come un angelo che ci proteggeva. Le volevo bene perché senza di lei non t’avrei mai conosciuto, eri il mio unico amico quando ero piccola, perché ero goffa e nessuno voleva giocare con me. Tu invece sei sempre stato forte ed allegro, sempre con la battuta pronta, all’asilo eri il capetto della classe, il preferito delle maestre ed anche se alle elementari, dopo la scomparsa di tua madre, eri diventato tardo ad imparare, non hai mai perso il tuo modo di fare autorevole e fraterno con il quale ti accattivavi le simpatie di tutti. Sai qual è l’immagine più bella che mi ricordo di te? Quella del primo giorno di seconda media. Eri un bambino biondo, alto e snello, sorridevi contento, ma il tuo sguardo brillava di tristezza, come sempre. Come il giorno in cui ti dissi addio per la prima volta. Ed ora devo farlo di nuovo. Come ho potuto dimenticarmi di te per tutto questo tempo, amico mio? – sospirò accarezzando il dorso della cassetta.Si alzò e andò ad inginocchiarsi sul bordo del fiume, di fronte al canneto, e aprì la cassetta. Lasciò scivolare i calzini nell’acqua melmosa constatando che erano di spugna come li aveva sempre portati. Accarezzò i femori scuriti dalla terra, le tibie rinsecchite, le rotule.– Cadevi sempre quando giocavi, eri troppo esuberante e ti facevi sempre nuove ferite sulle ginocchia. – lo rimproverò sorridendo nostalgicamente.Congedò il bacino e la cassa toracica che un tempo aveva abbracciato con affetto gioioso e sincero, poi le vertebre e le braccia “Dovevano essere divenute molto forti, negli ultimi tempi.”. Prese ad una ad una le piccole ossa delle mani, accarezzandole, una lacrima le solcò il volto mentre stringeva per l’ultima volta quei frammenti inerti e sporchi di terra di mani che un tempo erano state calde e sempre pronte ad aiutarla. Infine prese il cranio e la mascella e ricompose il teschio. Si rese conto che era piuttosto grande, era appartenuto ad un giovane uomo che lei non aveva avuto occasione di vedere. Guardò nelle orbite vuote, davanti agli occhi della mente conservava costantemente l’immagine del volto del suo amico vivo ed allegro. Le mani le tremavano leggermente, accarezzò i pochi capelli rimasti, sorrise mestamente alla dentatura quasi perfetta tranne che per quell’unico incisivo inferiore spezzato durante un campo estivo.– Quanto ti arrabbiasti, per quel dente. Guarda l’ho portato con me, non è stato facile ritrovarlo tra le mie cianfrusaglie di bambina dopo tutti questi anni. – disse traendo fuori il frammento dalla tasca della giacca e gettandolo nel fiume. Tenette ancora per un po’ il teschio tra le mani. Sentì di nuovo compassione e tenerezza per quelle povere ossa inconsapevoli ed avvilite, le accarezzava come per asciugarne le invisibili lacrime mentre il cuore le si gonfiava di affetto e tristezza.– Ti voglio tanto bene amico mio. Ora ti affido all’abbraccio della tua cara madre, ma quel bambino coraggioso lo porterò sempre con me. Addio, Robert. – e con un bacio soffiato lasciò scivolare silenziosamente il teschio nel fiume. Sul fondo della cassetta era rimasto l’anello nuziale di Rosa appeso ad una catenella.– Allora lo portavi ancora… – sfilò l’anello e lo lasciò cadere nell’acqua, poi mise la catenella al collo togliendosi quella che c’era già. Osservò la seconda catenella. Era d’argento e vi era appesa una medaglietta che raffigurava una strana donna, simile ad una Madonna, che aveva comprato durante una gita di terza media facendosi prestare i soldi da Robert.– è bella – le aveva detto vedendola – sembra che ti protegga. – . decise di appenderla al ramo del vecchio salice – Adesso proteggerà te. – sussurrò. Si guardò attorno ancora per un po’, congedandosi dai ricordi, poi prese la cassetta metallica, più tardi l’avrebbe gettata al riciclo, e tornò all’auto. Prima di salire in macchina fumò distrattamente un’altra Benson, la mente divisa tra i ricordi del passato ed i doveri che l’aspettavano del giorno seguente; la seconda udienza sarebbe durata molto, tre ore come minimo…..
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